LINA PASSALACQUA, ANIMA IN VOLO
18 febbraio 2006
Mai la vera arte ha approdi.
In essa solo partenze audaci, fughe improvvise, inesausto cammino, cadute atterrenti; e ancora plaghe d’attesa, moti impercettibili, impennate furenti, così come placide inerzie, scivolate infinite, voli … Voli, appunto, ed è Lina Passalacqua che ritrovo e riconosco, nella sua magistrale sapienza pittorica, estrema quanto l’acme di un volo – mai ultimo certo- ed improprio è il singolare, poiché plurimi e inarrestabili, urgenti e impavidi, da sempre, sono i suoi “VOLI”, in quell’incantato disincanto – e non è un gioco di parole – del percorso tutto “in levare” di una grande artista che amo molto. I critici d’arte non si espongono, generalmente, a livello troppo personale, non indulgono a dichiarazioni di tipo privato, lesive forse dell’aurea freddezza del ruolo, ma io posso, da povero poeta, permettermelo!
Sì, amo Lina Passalacqua, per la sua arte e la sua vita! Brucia la mia passione nella scrittura e anche lì c’è la gioia di auliche perdizioni o il baratro di tonfi mortali; anche per questo mi hanno intrigato, delle 38 opere di L. P. i titoli, letterariamente suadenti, che ostentano una filosofica matrice, proponendo un fil rouge che lega, come in un meditato incedere, i “passaggi” nei quattro alchemici elementi – Terra, Aria, Acqua, Fuoco – che atavicamente appartengono al cosmico Kaos primigenio che dell’Uomo è principio, cattività ed ineluttabile seduzione, intesa, questa, nell’etimo fondante.
Le tele di L.P. – i cui stessi titoli ineludibili insinuano, la necessità delle scansioni, suggeriscono l’idea di un “cammino” che già è volo – saltano la flebile rete semantica che della parola è forza e limite, e il cosmo si disvela – infine – agli occhi di chi le guarda. Si squarcia il fondale della scena, la prospettiva si apre come in oniriche visioni e scomparendo la gravità, fisica e metaforica, la terra, davvero, manca sotto ai piedi.
Non a caso, si intitolava “Nel cosmo” (1996 – cm. 180×180), un grande olio su tela presentato, insieme ad altri olii e bozzetti, pastelli e monotipi, allo Studio S –Arte Contemporanea di Carmine Siniscalco nel corso di una mostra di enorme successo del 1998, “VELE”, con un testo in catalogo di Carlo Fabrizio Carli. “Le vele di L. P. ci ripetono un canto di libertà, un desiderio di luce e di più ampi orizzonti” – così si esprime Carli; definendo poi “nell’itinerario pittorico di L. P. quello delle Vele un vertice qualitativo”.
Quelle vele oggi sono VOLI! Ancora un gioco di parole … ma nelle vocali che si trasformano, creando un significato altro, c’è forse il senso più alto dell’arte vera che è tale quando riesce, in semantici fraintendimenti come nella traslitterazione più banale, quasi infantile, a comporre e rappresentare quello scarto tra l’uomo e l’artista, che solo possiede – quest’ultimo – la chiave di ogni artificio, il segreto di ogni pur minimo “lapsus” dell’anima. Ecco allora i “VOLI” di L. P. scompigliare la storica premessa e promessa delle sue splendide vele; e la facile consonanza delle due parole, che istintivamente viene di compitare, quasi estratte da un vecchio sillabario, divengono “immagine”, ribaltando gli scontati due piani orizzontali dell’umano scenario. – Cielo-mare, sopra-sotto -; si capovolge l’immagine e di Lina – Ulisse – “dietro l’anima sua fatta sirena” – prosegue il viaggio, la navigazione partita dal mare, certo, da quello stesso mare su cui si affaccia la casa dove Lina, appena può, si rifugia a lavorare; da questo “incipit” azzurro e bagnato, si sciolgono gli ormeggi del sogno, fino a dimenticare il Mediterraneo e le colonne d’Ercole e forse Itaca stessa.
Oltre il destino, che, come nell’Odissea, è il perno della grande letteratura e del mito, che essa peraltro fugge o insegue; oltre la terra e l’acqua, verso il fuoco e l’aria –elementi portanti o solo per L. P. concettuali scansioni -.
Comunque oltre e verso qualcosa, impavidi o smemorati, abbacinati o lucidi, disorientati o spavaldi. Perduti o salvi!
L’immensa malìa dell’Arte è il suo stesso “cammino”:
“La terra è fatta di cielo.
La menzogna non ha nido.
Mai nessuno si è perduto.
Tutto è verità e cammino”
Non posso non pensare ai miei prediletti versi di Fernando Pessoa, gigante della letteratura portoghese, poeta – fingitore di sé (è una sua definizione del poeta in quanto tale), nell’arte come nella vita, ed è fittizia la distinzione dei due termini, tanto più per Pessoa.
Ed estrema, indicibile bellezza è nella poesia, come nell’arte tutta, la “potenza”, rispetto all’atto; dunque l’attesa non l’esito, la prospettiva lunga, l’immagine all’infinito, il leopardiano “naufragar”, come, in certa scultura michelangiolesca, la tensione del gesto – in fieri – ha la forza e la possanza di erompere dalla pietra che lo imprigiona, impedendone il compiersi.
“La freccia trema poiché, nell’ampia faretra,
il presente crea e include il futuro.
Se i mari ergono la loro furia selvaggia,
è perché la futura pace la loro orma cancella;
Tutto dipende da quel che non esiste.”
E’ Pessoa, ancora. Mi riecheggiano i suoi versi, mentre delle tele di L. P. mi ossessiona il vivo ricordo della prima volta che le vidi, da lei mostratemi, una ad una, con l’emozione viva di chi ti confidi un segreto. Una ad una mi folgorarono, le piccole e le grandi – una enorme (cm 100×200) – frutto di cinque anni di lavoro, una fatica, della mano, dell’occhio e del pensiero, affidata al timone sapiente di una indiscussa maturità pittorica, in grado di declinare il colore fino allo spasimo della sfumatura più improbabile – “conta la sfumatura, non il colore”, parola di Beaudelaire -; olii incredibili negli scontri cromatici che sembrano sottrarsi alla tirannia di una volontà espressiva, sfuggendo all’urgenza stessa dell’ispirazione di cui pure si evince la potenza.
Può – mi domando ancora, come il giorno in cui finalmente ebbi davanti agli occhi queste tele che, da tempo, aspettavo di vedere con impazienza, come una epifania annunciata – può il colore essere più forte, nella “rilettura” più meditata di un’opera, delle campiture che ne sono suggello, della pennellata stessa che lo esprime? E’ forse un colore ciò che resta dei nostri sogni? Davanti ai quadri di L. P. credo di aver colto, almeno per un attimo, proprio nei suoi fuggevoli colori, quel quid misterioso che dell’anima è “umana” sostanza che, pure, l’Umano trascende.
Sembra difficile, eppure non lo è; sono i corollari del pensiero che ripensa alcune tele di L. P., le invisibili didascalie che accompagnano lo snodarsi delle sue opere: da “La vita tra le foglie” – inizio del viaggio (2002) al “Finale” – e non a caso è un tondo – “Lassù una stella” (2006), ultimo “occhio” sulla resurrezione che si celebra, come un riscatto, dopo la penultima, piccola tela – ancora un tondo, di recentissima ultimazione – in cui, tra i “rovi” neri della disperazione, l’epilogo appare drammaticamente ineluttabile! Coup de thêatre; tutto ricomincia, torna a fremere la vita che in ogni tela palpita ; è un fremito d’ali, un guizzo acquatico, un esplodere purpureo, cremisi, mauve, di penne, piumaggi di tortore, passeri o, chissà, gabbiani.
Volatili felici o feriti, rapiti o rapaci, traditi da ciò che in aviazione si chiama “euforia d’infinito”, quando continui a scendere in picchiata, ammaliato dall’ebbrezza del volo, incurante dei limiti del velivolo che, troppo vicino alla terra, non ce la farà a risalire.
“Ah! I sentieri sono tutti in me.
Qualunque distanza o direzione, o termine
mi appartiene, sono io.”
I versi di Pessoa sono, forse, il controcanto perfetto alle opere di L. P., la risposta a tutte le domande; e se il poeta è costretto all’uso delle parole, al pittore basta anche una sola immagine, icona del detto e del non detto, visualizzazione di ciò che mai nessuno potrà vedere.
I Voli, sorprendenti e fugaci, di L. P. ci proiettano nell’assoluto, al di là dei 4 elementi, ??????di antiche filosofiche speculazioni, oggetto di fascinazioni cabalistiche. E improvvisamente spaesati ci ritroviamo nel punto fatale, ove tutto termina, perché tutto cominci.
“Volerò come un gabbiano” (2004) è l’unica opera in cui lei si pensa, si traspone, si vede, forse; sono i capelli di una donna, l’accenno di un volto, quello che si intravede, fluttuante, nel radente baluginìo di uno stormo. Qui, in questa unica tela, Lina si espone in prima persona, in quell’inequivocabile “volerò” del titolo.
Una provocazione, una sfida al domani, la sfrontata affermazione di un artista … a chi si interrogasse su come interpretare questa ambiziosa asserzione, vorrei dire che quel “futuro” è improprio, è fuori posto, è l’unica “cecità” che ad una artista si può ascrivere: l’inconsapevolezza di essere già dove il sogno la proietta. Con i suoi gabbiani L. P. “vola” da tempo, in empirei cieli, laddove all’infinito si rifrange la luce siderale e convivono, senza opporsi, alba e tramonto; dell’Arte è la portanza sulle sue ali, poiché solo l’Arte libera, trasporta, sostiene, in eterno librarsi, chi dell’arte vive, giorno dopo giorno. Fino al luminoso affrancarsi, “volo dopo volo”, dall’oscura zavorra dell’essere.
“LA MIA ANIMA E’ QUEL CHE NON HA”…
… è ancora il poeta che “canta” l’anima di cui, tutti, cerchiamo il mistero.
Nessuno può dire cosa, e dove, sia e qualcuno dubita che esista; ma davanti ai VOLI di L. P., ne ho la certezza: l’anima vola!
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Presentazione in catalogo LINA PASSALACQUA – Voli
Graficonsul group, aprile 2006