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Oltre il futurismo. La visione frammentata di Lina Passalacqua

L’unicità di un’artista come Lina Passalacqua richiede uno sguardo oltre l’apparenza delle cose. Le definizioni sono sempre penalizzanti se diventano etichette, perché confinano la ricerca artistica entro categorie che non racchiudono la complessità, né la verità del processo creativo. Per queste ragioni, occorre ampliare l’orizzonte interpretativo se si vuole comprendere il nesso che collega la sua arte al futurismo storico e, allo stesso tempo, alla velocità del nostro presente. Infatti, pur sottolineando il carattere futurista dell’artista, le sue opere non sono affatto una riproposizione dei canoni estetici di un movimento che con le sue propaggini ha attraversato tutto il Novecento. Se così fosse, non avrebbero quella “eco” contemporanea che, invece, le connota e che si origina dalla necessità su cui si fonda questa ricerca. A tal fine, per cogliere nel gesto pittorico di Passalacqua i dinamismi attuali, si rivela fondamentale una lettura sincronica, più che diacronica, della sua poetica e della sua vita che evidenzia immediatamente una “vicinanza”, pur in condizioni storiche diverse, tra l’artista e le donne futuriste.
L’aspetto che immediatamente distingue Lina Passalacqua è l’audacia. La stessa audacia che si ritrova anche nelle futuriste all’inizio del Novecento, anni di grandi cambiamenti caratterizzati dal Modernismo che segna in modo significativo il passaggio dal vecchio al nuovo secolo. Artiste, scrittrici, danzatrici, attrici, aviatrici, tutte coinvolte dalle idee di rinnovamento culturale e sociale nella “ricostruzione futurista dell’universo”. È noto il Manifesto della Donna futurista di Valentine de Saint-Point del 1912 in risposta al “disprezzo della donna” dichiarato da Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto del Futurismo del 1909, data di nascita del movimento. Figura di rilievo dell’avanguardia letteraria e artistica francese, scrittrice e danzatrice, è stata autrice anche del
Manifesto futurista della Lussuria del 1913.
Lina Passalacqua non ha vissuto quell’epoca, ma la sua intraprendenza, la sua volontà e la sua indipendenza sono una chiara affermazione del diritto, di ieri e di oggi, di essere una donna libera.
A metà degli anni Cinquanta, infatti, poco più che ventenne, contro il volere della sua famiglia, si allontana da Genova, e da quel mare che rimarrà sempre presente nel suo immaginario creativo, per andare a vivere a Bolzano, dove debutta come attrice al Teatro Stabile, cui seguono il Piccolo Teatro di Palermo e il Teatro Stabile di Catania, e anche il cinema con una parte nel film di Sergio Corbucci,
Chi si ferma è perduto (1960), con Totò e Peppino De Filippo.
La sua carriera è avviata con successo, ma nel 1962 decide di lasciare il teatro e si trasferisce a Roma per dedicarsi completamente alla sua grande passione, la pittura. Ha disegnato sin da bambina con notevole capacità espressiva, ma la sua famiglia voleva per lei una vita “normale”, quella di moglie e madre. Con la stessa determinazione e coraggio con cui ha deciso di fare teatro, affronta un nuovo percorso senza mai dubitare della sua scelta, pur tra le difficoltà iniziali, rivendicando ancora una volta il diritto di essere se stessa. Una persona schietta, generosa, vivace, inarrestabile, di grande energia umana e creativa, e slancio verso la vita, proiettata sempre nel mondo. E un’artista attenta e sensibile alla condizione femminile – e non poteva essere diversamente data la sua natura – e alle restrizioni sociali e culturali che le donne subiscono. Una sensibilità di cui la sua vita e la sua arte sono testimonianza. Si ricorda Liberati dalle pastoie! Esisti!, un’opera di grandi dimensioni realizzata nel 1984, senz’altro la più significativa, e la sua presenza in numerose manifestazioni dedicate alle donne e organizzate da donne, tra cui la prima e seconda edizione del Forum internazionale per una
Cultura di Pace, 2000 e 2002.
Per queste ragioni, l’incontro con il futurismo non è casuale, né solo una scelta estetica. Nasce certamente da ragioni culturali, affinità artistiche, ma è soprattutto un modo di essere. E naturale per l’artista “riconoscersi futurista” quando si avvicina a quell’universo attraverso Mario Verdone, che nel 1989 presenta la mostra antologica, Frammenti nel tempo e nello spazio, che si tiene a Macerata. Lo storico del cinema ed esperto di futurismo le fa conoscere Enzo Benedetto, uno degli ultimi esponenti e sostenitore dell’arte futurista, e l’ambiente culturale della rivista “Futurismo oggi”
fondata dallo stesso Benedetto.
Nasce un’amicizia e un sodalizio artistico ma, d’altra parte, la ricerca di una sintesi geometrica insieme alla scomposizione dei piani e al dinamismo della visione è già presente nelle opere degli anni Sessanta e Settanta. Il linguaggio futurista, di fatto, le è affine ancor prima dell’incontro con il futurismo sia per sensibilità e carattere, sia soprattutto per quella necessità di restituire la realtà attraverso quello che lei stessa definisce il “flash”, l’istante che da sempre connota la sua arte come documenta la mostra, intitolata appunto Flash, che si è svolta nell’ambito delle celebrazioni del centenario del futurismo a Roma nel 2009. Trent’anni di flash (1967-1997) caratterizzati da carte con riporti fotografici e vari interventi, dall’inchiostro alla tempera, alle matite colorate, all’acquarello.
Flash, frammenti che, insieme alle opere pittoriche, testimoniamo la continuità e la coerenza della ricerca di Lina Passalacqua, la sua tensione creativa nel cogliere l’immediatezza dell’accadere, il fluire della vita che rivelano come la velocità tanto celebrata dai futuristi, alla luce dei grandi e inediti mutamenti del nostro presente, acquisisca oggi un altro valore, divenendo espressione di nuove sintesi e nuovi significati. È fondamentale sottolineare questo aspetto, altrimenti la sua arte può sembrare datata se etichettata da una lettura fuorviante e riduttiva. Perciò, se da un lato l’artista
“rappresenta una delle più vive illustri continuità del linguaggio futurista”, motivazione con cui le è stata assegnata la medaglia commemorativa del Presidente della Repubblica nel 2008 in occasione del Premio di Pittura Città di Pizzo, un importante riconoscimento alla carriera – come testimoniano anche alcune sue opere che figurano insieme a quelle di nomi noti del futurismo, da Umberto Boccioni a Enzo Benedetto, Antonio Marasco, nella sala permanente dedicata nel 2017 ai futuristi calabresi al Museo del Presente di Rende (Cosenza) – dall’altro, come già sottolineato, occorre considerare la sua ricerca in rapporto alla contemporaneità.
Lina Passalacqua guarda il mondo con la consapevolezza dell’oggi, non con la lente del passato. È in tal senso che il dinamismo e la simultaneità della sua pittura dialogano con il futurismo. La sua arte, infatti, acquisisce potenza nell’individuare i caratteri distintivi del nostro tempo, di cui l’artista coglie in particolare il “flash”, intuendone già nel 1989 la problematicità e le conseguenze sull’individuo: «viviamo nell’epoca del flash e tutto appare frammentario, anche i nostri sentimenti subiscono questa caratteristica. Sono impressionata dai flash della nostra epoca, dalle schegge di vita che ci colpiscono continuamente. Vivo in una società fatta di flash, che rischia di perdere la memoria storica e, forse, anche quella morale». Era ancora troppo presto per parlare di perdita dell’identità umana, come invece sta accadendo. Un presente e un futuro sempre più gestiti e dominati dall’intelligenza artificiale e dai suoi algoritmi. Passalacqua ha avvertito l’invasività del flash e i suoi possibili effetti.
Anticipatrice dello smarrimento umano, così come lo sono stati in altro modo, e su altri aspetti, i futuristi all’inizio del Novecento. Non a caso, la velocità di cui la sua pittura è espressione, lontana dal mito futurista della macchina, è quella delle tecnologie che produce la perdita di distanza tra sé e l’altro, tra l’artista e il soggetto che rappresenta. Dall’impatto tra il suo profondo e la realtà nasce la visione simultanea delle sue opere: frammenti, flash, vortici che compone e scompone alla ricerca di una sintesi poetica del reale che consente di ritrovare il senso dell’umano oggi perduto. Istanti che non si possono raccontare, ma solo fissare per un attimo, come l’artista stessa afferma.
Per queste ragioni la sua pittura è testimonianza e denuncia dell’attuale stato delle cose come evidenziano alcune opere del suo ultimo ciclo lo… e il mare, realizzate tra il 2020 e il 2022. Un ciclo per certi aspetti biografico, perché il mare è un punto fermo nella sua vita. È il suo legame con il passato, con Genova, ma anche con il presente, la sua casa sul mare a Nettuno, dove realizza diversi lavori, in particolare Vele, un ciclo dipinto tra il 1995 e il 2001. A questo, ne seguono altri: Voli (2002-
2006), dove protagonisti sono gli elementi della natura, aria e acqua, terra e fuoco, Le quattro stagioni (2010-2013), Fiabe e Leggende (2015-2017).
Io… e il mare nasce da una condizione che tutti noi abbiamo vissuto. Ventitré opere che hanno scandito il tempo della pandemia, un inedito lockdown che ha segnato la nostra vita, ma che non ha fermato la vitalità creativa di Lina Passalacqua e il suo rapporto con il mondo. Il ciclo rivela, ancora una volta, quel filo rosso che attraversa e lega la biografia e la sua arte. Io… e il mare, appunto.
Un dialogo intimo e uno sguardo attento alla dimensione contemporanea dell’uomo. Un racconto per frammenti, per flash, dove ogni opera non è una semplice raffigurazione, ma una visione misteriosa, onirica della realtà. Mare come esperienza vissuta, ma anche come dimensione del profondo che rivela come la sua pittura così dinamica, così prorompente, sia al tempo stesso poetica e, anche se può sembrare contraddittorio ma non lo è, meditativa, soprattutto in quest’ultimo ciclo.
Alla velocità inarrestabile del quotidiano, all’eco frastornante dell’epoca subentra l’ascolto di sé e del mondo che rendono oggi i suoi frammenti qualcosa di diverso dalla visione simultanea futurista e dalle scomposizioni dinamiche delle opere precedenti. Nel contesto attuale, quei frammenti sono i tasselli di un puzzle che non è più possibile ricomporre a causa di una condizione di incertezza e precarietà esistenziale ormai strutturale della nostra società. E, nell’assenza di qualsiasi punto di riferimento, la visione frammentata si traduce in un tentativo di riappropriazione del reale attraverso sè nell’unicità del processo creativo per affermare il valore dell’umano.
Io… e il mare è esposto insieme a dieci bozzetti, collage su carta che consentono di cogliere l’immediatezza del “sentire e fare” creativo dell’artista, che diviene poi gesto pittorico nel farsi dell’immagine sulla tela. Il bozzetto si connota, dunque, più come schizzo che come progetto. Non è un caso che l’artista utilizzi la tecnica del collage. Tagliare, assemblare, incollare le consente di dare concretezza alla visione nella sincronia tra emozione e creazione e, citando i futuristi, tra vita e arte.
Un universo che ritroviamo nelle sue opere, nei fondali del ciclo lo… e il mare, nel misterioso mondo sotterraneo oggi minacciato dall’emergenza climatica del pianeta, da una società che non dà più valore all’umano, da un potere economico che produce morte, guerra, sterminio dei popoli.
Il tempo lascia i suoi segni, ma l’arte deve prima ancora avvertirne i sintomi, farli diventare le sue
“stigmate”. Un termine forte per sottolineare la potenza rivoluzionaria, e non solo testimoniale, del processo creativo dell’essere in quanto capace di “visione” oltre il dato, oltre l’osservato.
Le opere del ciclo lo… e il mare, con i loro vortici di forme, colori e luci, meccanismi dinamici e autonomi che sembrano fermarsi per un istante, consentono di “essere”, pur nel frastuono della vita, in quell’istante. Essere presenti, ascoltare e ascoltarsi. Questa è la pittura di Lina Passalacqua.
Gioiosa e malinconica, rumorosa e silenziosa, simultanea e sospesa, coerente con quella “essenza geometrica delle passioni” – dal titolo del documentario realizzato da Giulio Latini nel 2023 – che distingue la sua ricerca.